Posts Tagged ‘Crocetta’

Una nota stonata

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Una nota stonata. Torino narra il proprio cambiamento come se lo raccontasse ancora con gli occhi degli anni ’90: ridare vita alle fabbriche abbandonate, ricucire le ferite dei solchi ferroviari, costruire giardini pensili sui tetti dei nuovi edifici. Ora, è auspicabile e possibile che l’area ex Osi-Ghia diventi effettivamente un triangolo urbanistico di eccellenza. Eppure, un’analisi più attenta vorrebbe che si considerassero l’enorme numero di case sfitte che affligge la città, la decadenza in cui versa la periferia Nord e il paradosso inconciliabile di un luogo che perde attività produttive ma continua a rigurgitare cemento. Un giorno, la bolla esploderà.


L’autista scende inferocito

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Lampi arancioni squarciano l’alba. Io mi aggiro come un beccamorto sopra la ferrovia sepolta. Un giovane cinese cala dall’autobus incollato a uno schermo liquido. Un’auto si arresta sotto un semaforo deserto. Un’altra la cannoneggia col clacson. L’autista scende inferocito. Il trombettista si barrica dentro le sue portiere. Poi torna il verde, l’inseguitore sgomma e supera rimbaldanzito. Biciclette invisibili fendono l’aria fra facce spensierate. Io contemplo vetri frapposti a masse di persone. Torino nasconde un lembo di California nel suo torsolo. Se non li investiranno gli automobilisti incazzati, e non se ne andranno, i giovani studenti del Politecnico salveranno la città.


Le soluzioni sospese

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Le parole corrono a fiumi. Non abbiamo bevuto, ma ci siamo ubriacati di bruciori. E’ una percussione stanca il mio racconto. Ha voce di donna sotto la mia pelle. Dibatte lungamente i perduti amori. Le soluzioni sospese. Il tradimento degli amici. E’ la corsa irrefrenabile di un cameriere omosessuale. La delicata bellezza di una devianza non nascosta. Identità orgogliosa e pettegola. Accompagna la discussione che conduco. Interrompe lo sguardo dell’amica che si confida con me. Sono passati troppi anni. Ora cominciamo a sentirci soli. E ci resta una sola cosa. Accusare chi ci ha deviati. Il tempo perduto per amare.


Soltanto il caffè

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Vista dalla Crocetta, Torino ha uno sguardo diverso. Si corrompe di semplicità oltre corso Lione. La fontana di Merz segna il confine fra il mondo possibile e l’ignota ricchezza. Mi chiudo in un bar rumeno, aspettando che l’orologio segni il mio ritardo. Trionfo della penuria. Non croissant, biscotti. Soltanto il caffè. Un giornale sgualcito. Un volto assopito disperso di bionda solitudine. Consuma una voce attenta, un sorriso calcolato. E’ una pietra incuneata nell’erba. Sprofonda in un tessuto ostile. Mette radici, per questo lo invidio. Mi risveglia mentre osservo le torri di un Medio Evo finto. Ci aspetta un futuro scomposto.


Il toro per le corna

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Oggi vorrei parlare di molte altre cose, ma la tentazione di festeggiare una buona notizia le vince tutte. Il Sole 24 Ore ha riconosciuto che il Politecnico di Torino è il migliore d’Italia. La Stampa fa bene a sottolineare che abbiamo battuto Milano. Dotazione di fondi, capacità di reperire risorse esterne, attrattività e tasso di laureati nei tempi di legge. I punti di forza sono questi. E’ la dimostrazione che in mezzo alla crisi lo abbiamo preso. Il toro per le corna. Ora resta il difficile: trasformare i progetti in spin-off universitari di successo. Servono capitali, coraggio e innovazione. Vogliamo rinascere.


La aspetto inerme

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Scrive da una vicina lontananza. Usa parole non mediate. Non dà forma al testo. Eppure manifesta una feroce affezione. Accarezza l’idea di un incontro. Respinge l’esistente per sognare passi nascosti. Riesco appena ad immaginarla. Chiusa in un freddo cappello. Sorpresa dall’accecato erompere di una telecamera. Solca montagne invecchiate. E’ una villeggiatura di inizio secolo. Serve a tenerci lontani. A cancellare una consuetudine dispersa. Io siedo solo davanti a un’insalata e un cappuccino. Affogo nella lettura le mie contraddizioni. Mi chiedo se parlare con lei sarà ancora così emozionante. La aspetto inerme. Mi inganno, ricordandola in una immota giovinezza. Sono perduto.


Non li ascolto neppure

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Sprofondo nel design di una poltrona. Maria irrompe avvolta di viola. Nel sottosuolo echeggiano voci africane. Una pentola arrugginita sotto un tubo catodico. Fotografie frammiste a stupide memorie d’aeroporto. La guerra è nelle nostre case. Mi appoggio esangue ad un blocco di cemento. Due finte sacerdotesse si avvicinano sospese su tacchi sottili. Mi accarezzano senza pudore, poi scompaiono nel buio. Fuggo infelice fra immagini disseminate nel Novecento. Io sono l’anima di un libro polveroso. Labbra di fango fra sensi che si chiudono. Due vecchi cercano invano un paesaggio settecentesco. Non li ascolto neppure. Mi immergo ingenuo in un piacere fanciullesco.