Posts Tagged ‘Corso Mortara’

Torino non parla

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Targa rumena, una vecchia auto francese. E’ un pezzo di lamiera che taglia in due la città. Bordeggia gli scavi ferroviari, rimbalza in una buca e scivola verso Ovest. Gli occhi si perdono sui marciapiedi. Un furgone lombardo si ferma in mezzo a un incrocio: ne scende una prostituta. La città lava un lamento di pioggia. Quartiere popolare, ali di piccione. Escrementi ormai corrosi risuonano di echi medievali. Sono la lama di un regime aguzzino. La fuga di vergini remote, sospinte dalla paura e dall’affanno. Si aprono voragini di desiderio, lungo le strade. Torino non parla. Qualcuno se la fotte.


Auto abbandonate

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Discettiamo del futuro dei luoghi. Indichiamo i quartieri che risorgeranno. Studiamo morte strategie di disimpegno. Disegnamo le ombre spezzate di un loft. Non sono che diversivi smunti di ambizioni sedate. Dimentichiamo i chiodi a cui ci siamo impiccati. Sognamo una impossibile rinascita che neghi il declino. Ci accarezziamo stupidi in una enclave di piccoli privilegi borghesi. Abbiamo dimenticato di chi siamo figli. La povertà patita dai primi migranti. Non diventeremo mai ricchi. Continueremo a lagnarci della ricchezza altrui. E faremo l’amore con una città marcescente. Non resta che osservare l’inesorabile degrado successivo all’infanzia. Vetri rotti. Auto abbandonate. E noi, immemori.


Suonava il primo delirio

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La pioggia lava la speranza. Rigenera la resa. Consumo il cuore in vano. Un gesto abolisce la sofferenza. Impossibile piangere. Frammista immemore oscurità. Conato sepolto. Morta illusione. Simmetria divina. Attesa, invocazione. Ali larghe. Metamorfosi. Volto di pietra. Sconcerto. Artificiosa disillusione. Calunnia. Sublime sfogo. Diverse, successive. Incomunicate volgarità del mondo borghese. Esausto rimpianto. Ricordo sbiadito. Assillante disegno. Meravigliata devianza. Incontro solitario. Sbiadita luce. Ramingo esilio. Legno duro. Grandezza intangibile. Orizzonte impercorribile. Godimento infinito. Nomadismo astratto. Senso incontrastabile. Regale lutto. Volgare irrequietezza. Dubbio caduco. Finta follia. Intempestiva volontà. Irriconoscibile costellazione. Quiete metropolitana. Suonava il primo delirio. Poi veloci sono passati gli anni.


Curiosi soltanto

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Deviati lungo un sentiero di morte, errabondi su strade un tempo amiche. Solitari meniamo innanzi il nostro disprezzo. Senza nostalgia dell’altrui uniformità. Curiosi soltanto. E sempre al margine, confitti in interstizi irraggiunti e grigi. Colati sotto una pelle di catrame, ricolmi di memoria. Non vivi, forse sospesi in una posticcia eternità di fango. Narcotizzati da una conoscenza frammentaria, rivomitata nell’abbondanza, ricchi solo di immagini; perciò troppo dubbiosi dell’identità. Ci lasceremo consumare dal silenzio, attraversando un angosciato sentiero di mediocrità, sotto le macerie ferrose di un discriminato compiacimento. E dimenticheremo vicino ad un sepolto abbandono radici scomposte, disperse di decadente follia.


Gli ubriachi lo acclamano

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La strada è una coltre di detriti congelati. Il vento dissecca una pelle morta. Un uomo vomita fra le piante chiamando Dio. Entro e lo vedo, impossibilmente pallido. Irriconoscibile. Si è tagliato la barba, ora ha i capelli corti. Salvatore è tornato dagli abissi. Gli ubriachi lo acclamano. Io affogo in un grumo di pomodoro e formaggio. La voce di Rino Gaetano gracchia sul soffitto in un affresco di fango. Sono un soffio di lemoncello bagnato in uno sputo meridionale. Una donna accarezza un fumo di plastica. Gli occhi non si aprono più. E mi addormento in una profezia ridicola.


Sputi coprono un’immagine

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Miserevole invidia. E’ un’irriverente appropriazione di sofferenza. Seppellisce la coscienza. Un limbo colmo di rimpianto langue desolato. E’ violato soltanto da ombre in cerca di un oscuro rifugio. Clandestini lordati e nutriti da meticcia violenza. Esseri vaghi riscoprono brandelli di realtà. Non possono capire. Bramano vuote forme di divinità. Abbiamo lasciato loro il vomito ammorbato del progresso. Si modelleranno su noi stessi. Sono corpi percossi di sprezzo. Sputi coprono un’immagine. Così dimentichiamo la nostra molle vergogna. Soffochiamo dubbi angosciati di irremovibile pochezza. Non conosce profeti questo disincanto, ma solo un’ombra pervasa di ruggine. Rilucerà di mendaci illusioni all’alba di domani.


Echeggiano voci di lotta

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Una fabbrica abbandonata inonda la notte.  Confine di sonno. Sotto un ponte l’oscurità si illumina di un soffocato colore arancio. E’ un artefatto di pioggia. Scheletri di cemento abbracciano altiforni congelati nell’oblio. Calpesto vetri rotti, frammenti caduti a terra. Cospargono mezzi seppelliti e rilucenti colline di detriti.  Rifrangono una sommità decadente. Echeggiano voci di lotta. Bandiere infuocate sventolano sospinte da fumi caldi. Sono cucite con fiotti di sangue annerito. Urla insistenti, orgoglio comprato sotto il peso di armi ingrate. Gli occhi curiosi di un bimbo scrutano i segni di un volto antico. Sospirano vivi. In una fossa riempita di fresco.