Posts Tagged ‘Corso Vittorio Emanuele II’
April 7th, 2013
Vennero che eravamo svegli da poco. Bussarono senza aspettare, sapevano che avremmo aperto. Ero io il più impaurito, per questo forse cercavo di rincuorare gli altri. Stettero a lungo in silenzio, poi presero il primo. Non ricordo se l’acqua fosse più spesso bollente o gelata. Vollero punirlo sotto i nostri occhi. Là fuori tutto scorreva tranquillo. Mentre lo massacravano. La messa in scena della bellezza continuava ovattata, fine a sé stessa. Ormai il sistema era così subdolo da prevedere falsi contestatori che urlavano nelle piazze al nostro posto. A noi, infatti, non restavano che i sotterranei delle prigioni.
![[#Torino] Cavi in fiamme - Piazza Statuto.](http://farm9.staticflickr.com/8231/8527640561_b0b42fdd1f.jpg)
Cavi in fiamme
February 12th, 2013
Marcovaldo mi aspettava sotto la porta, ma io non vedevo oltre la strada. L’umidità della nebbia mi colava sulla testa come una doccia di sudore. Le auto spazzavano le foglie. L’autobus non passava, preferiva procedere dritto sul corso alberato. Lontano da me. Le ossa ammuffite degli altri restavano dentro casa, avevano deciso di non consolarsi nella mia attesa. Cominciai ad interrogarmi sulla solitudine. Rimpiangevo le troppe occasioni in cui l’avevo allontanata. La verde felicità. Decisi di cercare risposta nelle pagine dei libri. Qualcosa, indubbiamente, mi si sarebbe nascosto sotto la sedia. Di correre il rischio, tuttavia, valeva ancora la pena.
January 27th, 2013
Cosa ricorda la città? Da Torino furono deportati 246 ebrei. Uscivano dalle Carceri Nuove alle prime ore del mattino, e attraversavano il deserto di Corso Vittorio Emanuele II. Li caricavano sui carri bestiame insieme ai prigionieri politici. Cinquanta o settanta per volta. Loro consumavano gli occhi nel bruciore: cercavano di scorgere qualcosa, un’ultima immagine di casa. Attraverso le pareti del vagone. Oggi li ricorda una lapide: “Partirono da questa stazione / i deportati politici per i campi di sterminio nazisti / A chi rimaneva lasciarono la consegna / di continuare la lotta contro il nazifascismo / per l’indipendenza e la libertà”. Tornarono in 21.

->Nuvole ad alta velocità<-
January 23rd, 2013
E’ salito un’altra volta sul carro di ferro. Gli occhi lucidi li ha nascosti dentro il cuore. S’è guardato intorno assorto. Si è messo a ridere con me, insultando un amico napoletano. Attraverserà l’oceano, raggiungerà la patria nuova e dimenticherà i colori della sua terra. Gli alberi curvi e le pietre nei campi. Il mare che corrode di sale la volontà di chi cresce lungo le coste. Le nude fabbriche del Nord, la vecchia casa in cui visse per pochi anni e segnò il suo futuro. La strada in cui giocò bambino, e conobbe una donna. Lo portò in America.
July 10th, 2012
Gialla spossatezza. Si consuma su un prato freddo e distante. Si allunga sull’acqua, nel fallimento di un tramonto precoce. Sospeso su due ruote divido la città. E’ una brezza umida che accarezza il collo. Lambisce di sudore una vanità perduta. Ha sapore di riso bianco. E’ immobile abbandono dietro a una finestra. Frastuono ovattato di fiume. A sera mi coglierà esausto. Mi divoro dal dubbio di aver detto troppo. La voce è secca per il troppo gridare. Ricordo i volti, uno ad uno. Lo stupore. Parole da loro non dette. E mi chiedo, se davvero io sia stato giusto.
March 13th, 2012
Sporchi papponi in suv. Si aggomitolano putridi sulle rotaie dei tram. Salgono sulle rotonde, calpestano la dignità. Si arrampicano ostili in ogni spazio pubblico. Spregiano ciò che è nostro. Ci guardano ingrassati, imbruttiti di carne rubata. Scoppiano sotto morti occhiali da sole. Ribollono di volgare misericordia. E poi sorridono, sbeffeggiano l’umiltà di una divisa. Alzano il culo e corrono in un negozio. Ed è come se dicessero: “io so’ io, e voi nun siete un cazzo”. Già, loro hanno coraggio: di non pagare le tasse, di sfruttare gli immigrati, di votare per chi gli conviene. Di fottere, con le puttane.
July 19th, 2011
Scrive da una vicina lontananza. Usa parole non mediate. Non dà forma al testo. Eppure manifesta una feroce affezione. Accarezza l’idea di un incontro. Respinge l’esistente per sognare passi nascosti. Riesco appena ad immaginarla. Chiusa in un freddo cappello. Sorpresa dall’accecato erompere di una telecamera. Solca montagne invecchiate. E’ una villeggiatura di inizio secolo. Serve a tenerci lontani. A cancellare una consuetudine dispersa. Io siedo solo davanti a un’insalata e un cappuccino. Affogo nella lettura le mie contraddizioni. Mi chiedo se parlare con lei sarà ancora così emozionante. La aspetto inerme. Mi inganno, ricordandola in una immota giovinezza. Sono perduto.