Nei cunicoli parlanti. Scesi a fatica, poggiando il ginocchio sulla parete. Quei marmi sfiniti degli anni cinquanta parevano sbeccati, macchiati di sudicio vecchio. Nei corridoi, le luci al neon sfogavano una noia asciutta sugli occhi di un’impiegata. Taceva, forse perché la vita le scorreva addosso in un sotterraneo. Mi avvicinai, palpitai per un suo scarabocchio, poi mi buttai in una stanza buia. Un uomo bofonchiò qualcosa, cercò di essere simpatico annunciando una mesta disgrazia. Fuori dalla porta, su una sedia, un donnone dal seno gigante mi sorrise di labbra gonfie. La osservai meglio, nascondeva sotto le lenti un pensiero lussurioso.

->Rovinando abbasso<-
Polvere, confuso ribollire di pagine. Macchine rotte, sguardi svogliati. Vecchi cassetti di legno coperti di muffa. Screpolature scolorite. Attendo la molle risalita dei volumi dall’angusto magazzino librario. Il vento spazza la città. Ha gli occhi congelati. Arricciati sussurri di pelle accesa. Un sorriso tremante. Il rumore assordato di uno squarcio adirato. Inciampo sul selciato. Cerco un sole che non scalda. Affondo annoiato in altre carte. Desidero soltanto diventare vecchio. Liberare il tempo nell’ozio. Dimenticare il sangue versato nel desiderio. La fatica assoluta. Il ribelle conato del vivere. Il volto impenetrabile dell’abbandono. Un abbraccio non ricevuto. Un nome dimenticato. Ho vinto?