Profondità e riverbero
#AlgebraTTT per #TTT04. Primo, la profondità vale più della superficie. Secondo, ascoltare crea maggior valore di parlare. Klout a parte, sto cercando di riflettere sulla natura di ciò che si condivide sui social network e, in particolare, su Twitter. Sono rozzi, non tengono conto della specificità dei contenuti; ma ho provato a costruire due indici. Profondità e riverbero. Per capire, bisogna studiare le buone pratiche: @tigella, @giulianopisapia, @lucatelese. Confrontandole, emergono tre stili diversi. La ‘curation’ non confligge con la produzione di contenuti: la integra. Curatore, leader e produttore di contenuti condividono una capacità fondamentale: saper dialogare con il proprio pubblico.
Complimenti. Da un punto di vista formale, la migliore analisi su Twitter che abbia letto fino ad oggi.
Le conclusioni a cui arrivi, correggimi se ho inteso male, mi sembrano concepire Twitter come un mezzo ideoneo soprattutto a generare e sorreggere l’interazione tra più utenti, per stabilire relazioni orizzontali tra i diversi attori della vita pubblica o come un’ancora per contenuti di più ampio respiro prodotti in altri spazi mediatici.
Insomma il riverbero pare coprire l’enunciato autonomo e autoconclusivo. Un’analisi che condivido anche dal punto di vista della mia esperienza quotidiana (io uso Twitter soprattutto come un canale che conduce ad altri approdi) ma che, in qualche misura, mi pare riduttivo rispetto ad un suo utilizzo più coerente rispetto alle linee guida “calviniane” da te ottimamente descritte durante #TTT03 e che stai sperimentando nella pratica anche tramite il bell’esperimento di #TweetQueneau.
Mi chiedo a questo punto se i 140 caratteri siano un ostacolo davvero insormontabile alla creazione di enunciati originali che vadano oltre l’esercizio di stile, il commento ironico, la battuta caustica e la citazione decontestualizzata o se invece qualche storyteller troverà modalità e grammatica per una produzione narrativa specie-specifica. Un haiku 2.0 che possa avere una sua cittadinanza nel mondo letterario.
Sì, Twitter – anche nelle sue espressioni migliori, – mi pare uno strumento di relazione fra soggetti e contenuti, più che uno strumento di contenuto in senso stretto.
Probabilmente, dovremmo richiamare la dicotomia fra discorso centrale e discorso periferico (Petty e Cacioppo), del quale ti so esperto: in un certo senso, è come se Twitter consentisse immediatamente al lettore di discriminare tra l’uno e l’altro.
Ognuno è in grado di sapere se è il caso di fermarsi alla crosta di superficie in cui domina la relazione, restando su Twitter, oppure se è il caso di scendere nella profondità di contenuto, in un luogo altro che Twitter può solo richiamare.
Quanto a #TweetQueneau, in effetti è davvero un gioco: quei tweet sono enunciati, privi di link; dunque non c’è né profondità né riverbero. In sé è uno spazio fine a se stesso, non fosse il fatto che si attiva una relazione fra chi lo pratica e che allenarsi a scrivere meglio ha una sua efficacia anche quando di link se ne producono.
E’ possibile, che nascano generi autonomi. Un romanzo in tweet, un poema in tweet, mi pare troppo. Ma c’è un aspetto più rilevante di ogni considerazione. Twitter non può che restare uno spazio di sperimentazione: quando smettesse di esserlo, cesserebbe di esistere.